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Subappalto nel settore dei beni culturali: sentenza della Corte costituzionale
Con la sentenza n. 91/2022 depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione, dal Tar Molise.
Il Collegio rimettente ha individuato la ratio del divieto di avvalimento, di cui all’art. 146, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, nell’esigenza di affidare l’esecuzione dei lavori che riguardano i beni culturali a soggetti muniti di qualificazioni specialistiche, al fine di assicurare a tali beni un’adeguata tutela.
A fronte di simile divieto e della giustificazione che sottende, si paleserebbe – secondo il giudice a quo – una irragionevolezza nella mancata estensione di un analogo divieto al subappalto, posto che tale istituto, nel confronto con l’avvalimento, offrirebbe meno garanzie di tutela.
Nella sentenza, la Corte costituzionale osserva che “l’elemento, comunque, decisivo è che – in base alla disciplina del subappalto relativo ai beni culturali – soltanto l’operatore dotato di una qualificazione specialistica può eseguire i lavori relativi a tali beni, e questo di per sé assicura loro una effettiva e adeguata tutela.
Si dissolve, in tal modo, la censura di irragionevolezza, poiché il subappalto non condivide con l’avvalimento la ratio della norma censurata, riferibile, per l’appunto, all’esigenza di tutelare i beni culturali, il che smentisce la similitudine rispetto al tertium comparationis”.
“Senza una giustificazione riconducibile alla protezione dei citati beni”, aggiunge la Consulta, “non soltanto la mancanza del divieto di subappalto non contrasta con gli artt. 3 e 9 Cost., ma, al contrario, l’eventuale previsione del divieto di subappalto – come richiesto dal rimettente – potrebbe tradursi in una compressione del principio della concorrenza (si veda, in proposito, Corte di Giustizia, sentenze 27 novembre 2019, C-402/18, Tedeschi e 26 settembre 2019, C-63/18, Vitali), oltre che dell’autonomia privata, non priva di criticità”.
Pertanto, conclude la Corte costituzionale, “nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte, che non ravvisa una violazione del principio di eguaglianza quando «alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sentenza n. 85 del 2020)» (sentenza n. 71 del 2021), le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., non sono fondate”.
IN ALLEGATO la sentenza della Consulta.

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