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Esonero dal contributo di costruzione, chiarimenti dal Consiglio di Stato
Con la sentenza n. 235/2022, pubblicata il 13 gennaio, la seconda sezione del Consiglio di Stato ha chiarito che l’esonero dal contributo di costruzione per gli interventi da realizzare nelle zone agricole si applica anche a quelli effettuati in funzione dell’attività agrituristica, purché essa sia connessa alla conduzione del fondo.
Per evitare che l’organizzazione dell’attività agrituristica assuma dimensioni tali da perdere i requisiti di connessione rispetto all’attività agricola, le Regioni possono dettare regole che incidono sull’attività edilizia, in sede di individuazione degli « interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche, nonché delle caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi». Il mancato rispetto degli altri requisiti, quali le regole sull’utilizzo dei prodotti provenienti dal fondo, attengono alla fase dello svolgimento dell’attività e la loro sistematica violazione determina l’illiceità della stessa anche sotto il profilo urbanistico, in quanto si risolve in una modifica di destinazione d’uso, seppure funzionale o senza opere.
La scelta di esonerare gli imprenditori agricoli dal contributo di costruzione, contenuta nell’art. 17, comma 3, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, è ancorata alla sussistenza di due condizioni, una oggettiva, data dal rapporto con la conduzione del fondo e l’altra, invece, soggettiva, correlata alla qualifica di imprenditore a titolo principale del richiedente (sul punto, v. Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5363). Anche l’agriturismo può essere considerato attività condotta in funzione dell’impresa agricola, purché ad esso connesso (non più complementare). Ciò in quanto nella cornice della legge quadro n. 96 del 2006, di riforma del settore, che vuole promuovere idonee forme di turismo nelle campagne, il recupero del patrimonio edilizio rurale nel rispetto delle peculiarità paesaggistiche diviene fattore di crescita della multifunzionalità dell’impresa agricola, atto a scongiurare fenomeni di abbandono e di degrado, soprattutto in determinate aree, e nel contempo incoraggiare il rinnovamento, anche generazionale, della classe imprenditoriale agricola, senza disperdere il patrimonio di tradizioni e di cultura che nell’ambito enogastronomico costituisce un’innegabile eccellenza del Paese. Da qui la ritenuta compatibilità dell’esenzione dal pagamento del contributo di costruzione, che con particolare riguardo alla parte correlata agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, è di natura pubblicistica, in quanto mirante a “socializzare” le spese che la collettività è chiamata a sostenere per la realizzazione delle opere a servizio della zona ove le stesse vanno a localizzarsi. D’altro canto, seppure la finalità di imprenditorialità aggiuntiva rispetto a quella agricola tradizionale dell’attività agrituristica appaia prima facie difficilmente conciliabile con la scelta di sottrarre la edificazione o ristrutturazione dei locali da utilizzare allo scopo alla partecipazione agli oneri concessori, tanto più che la capacità attrattiva di utenza che essa genera, produce inevitabilmente un maggior carico urbanistico (v. Cons. Stato, sez. IV, 30 agosto 2018, n. 5096, che fa ancora riferimento alla definizione di agriturismo contenuta nella l. n. 730 del 1985, non applicabile ratione temporis al caso di specie), vero è che l’art. 3, comma 3, della l. n. 96 del 2006, prevede che «I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilati ad ogni effetto alle abitazioni rurali». Pertanto gli interventi effettuati in funzione della conduzione del fondo agricolo, nella sua modalità “connessa” di esercizio di attività agrituristica, non richiedono neppure un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, essendo l’insediamento compatibile con l’utilizzo delle abitazioni rurali e ferme restando le indicazioni, necessariamente di dettaglio, rivenienti dalla singola pianificazione urbanistica.
Il concetto di “capienza” della struttura agrituristica, al pari di altri attinti al linguaggio giuridico tipico dell’esercizio delle singole attività di settore, va calato nello specifico di quella di riferimento. Esso è infatti intrinseco alla nozione di agibilità dei locali di pubblico spettacolo o trattenimento, ma estraneo a quelli di somministrazione di alimenti e bevande, sottoposti piuttosto a un vaglio qualitativo di rispondenza a requisiti igienico-sanitari e di aerazione. Ove posto come condizione nel titolo legittimante lo svolgimento dell’impresa, assurge a limite negativo al di sopra del quale si spezza il rapporto di connessione nella accezione giuridica richiesta dal legislatore perché l’agriturismo possa essere considerato parte dell’impresa agricola, fruendo anche dei relativi benefici procedimentali. Essa, cioè, finisce per costituire un obiettivo strumento di supporto all’operato dell’organo di controllo, in quanto agevolmente riscontrabile, anche ai fini delle verifiche del rispetto della destinazione urbanistica a residenza rurale, compatibile con l’esercizio di agriturismo, ma non con quello di una vera e propria attività commerciale.
La sentenza è disponibile in allegato.

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