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Rottamazione edifici, Cappochin (Architetti): “Innovare gli approcci alle politiche urbane”
“Non basta prendere definitivamente atto - come si è finalmente fatto - delle pessime condizioni del patrimonio abitativo del nostro Paese; del fatto che le periferie siano invivibili; che il 55% degli edifici italiani abbia oltre 40 anni di vita e che oltre il 35% dell’energia consumata in Italia sia destinata agli edifici. Da questa consapevolezza - ma soprattutto per garantire sicurezza ai 24 milioni di cittadini che vivono in zone ad alto rischio sismico e ai 5 milioni e mezzo in pericolo per il rischio idrogeologico - deve nascere l’esigenza di realizzare una forte innovazione negli approcci alle politiche urbane ed una concreta semplificazione delle norme”.
Così Giuseppe Cappochin, presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori intervenendo al Convegno “Manifesto per la rottamazione post bellica priva di qualità. Il riequilibrio delle aree urbane e il rilancio dell’economia”.
“Per trasformare veramente le nostre città non bastano certamente le norme che prevedono la demolizione e la ricostruzione in classe “A” dei fabbricati. Si tratta certamente di una operazione importante ma che, presa a se stante, non rappresenta un passo nella direzione di una nuova politica urbana, non rappresenta un modo nuovo di immaginare la città che verrà. Rimanere nello stretto ambito dell’edilizia limita il dibattito a temi “tecnici” quali la modifica della sagoma o le quantità costruibili. Quello che serve davvero è integrare la micro scala (problematiche di edilizia) con la macro scala (problematiche di politiche urbane) per ottenere una convergenza sia degli interventi che delle risorse economiche pubbliche e private”.
“Riuso, il programma degli architetti italiani per la rigenerazione urbana sostenibile, contiene anche elementi determinanti per superare la complessità burocratica degli interventi che devono tenere conto delle effettive necessità dei territori sui quali si intende operare”.
“Va comunque ribadito – e gli architetti italiani non si stancano di farlo – che solo attraverso una programmazione almeno ventennale, coerente con una visione strategica del futuro della città e del territorio, sarà possibile incidere in modo concreto sulle politiche urbane per dire basta a progetti improvvisati e finalizzati unicamente a cogliere le occasioni di volta in volta offerte da provvedimenti governativi”.

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