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Lo smaltimento dell'amianto rappresenta un problema grave e di non facile soluzione: solo in Lombardia, per fare un esempio, sono ancora da smaltire tre milioni di metri cubi di amianto, ma le discariche sono piene e costruirne di nuove comporterebbe un ulteriore consumo di suolo senza risolvere alla radice il problema. Inoltre, trasferire i rifiuti in altri Paesi, come la Germania, aumenta i costi facendo crescere i rischi di infiltrazioni criminali.
Una soluzione al problema potrebbe arrivare con la tecnologia di inertizzazione, che è stata illustrata da Paolo Ricci dell'Osservatorio Epidemiologico Asl, nel corso di un seminario a Mantova, organizzato da Confindustria e intitolato “Amianto e fibre vetrose, gestione del rischio”.
Inertizzazione a basse temperature
“Ricci – si legge in un articolo pubblicato sulla Gazzetta di Mantova - indica come percorribile da subito, con le dovute cautele a compensarne le criticità, il processo di inertizzazione a “basse” temperature (meno di 1.000 gradi centigradi). Modificando il rapporto tra la lunghezza e il diametro delle fibre, si ottengono cristalli innocui, spogliati del loro potere lesivo sui tessuti biologici. Alternativa che suona quasi rivoluzionaria ma nasce già vecchia: contemplata come possibilità dal decreto ministeriale 248 del 2004 (disciplina dell’attività di recupero dell’amianto), la trasformazione attraverso il calore era già oggetto di studi scientifici nel 1993”.
Le cautele da osservare
“Ubicazione, accesso, tipologia dell’impianto: l’elenco della cautele da osservare è lungo. Il trattamento – prosegue l'articolo - dovrebbe avvenire a distanza di sicurezza dai centri abitati, in aree a basso rischio di incidenti (lontano da aeroporti, strade, binari). L’impianto dovrebbe essere così robusto da reggere a terremoti, inondazioni, trombe d’aria e abbastanza versatile da poter essere smontato e trasferito altrove, lasciando l’area libera e pulita per un’altra destinazione d’uso. E poi controlli incrociati e a catena su tutti i materiali, in ingresso e in uscita, dopo la frantumazione. Aree confinate, silos dedicati, temperature crescenti, filtri, recupero del calore attraverso scambiatori. Controlli sistematici delle emissioni (oltre i mille gradi il livello degli ossidi d’azoto sarebbe insostenibile)”.
Combustione perfetta
Un'altra soluzione, sulla quale però non c'è ancora una adeguata letteratura scientifica, ma solo test e rapporti interni, consiste nella “combustione perfetta” con trattamento termico ad alte temperature (superiori a 1000 gradi centigradi). “Materiale complessa, tanto incandescente da raffreddarsi nel mito della 'combustione perfetta', senza fiamma, che produrrebbe soltanto anidride carbonica, acqua, azoto, scorie vetrose, sali metallici. Tutto riciclabile, zero micropolveri e nano particelle”.
Torcia al plasma
Da scartare, invece, il trattamento termico ad alte temperature (>1000 C°) con torcia al plasma, in quanto comporta un elevato consumo di energia ed emissioni con elevato contenuto di NOx.

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