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Non è una “nuova costruzione” la pergotenda di un ristorante. Lo ha confermato il Consiglio di Stato, Sezione Seconda, nella sentenza n. 840/2021 pubblicata il 28 gennaio.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. II-bis, 18 luglio 2012, n. 6571 ha accolto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellata, annullando la Determinazione Dirigenziale prot. gen. n. 23059 del 22.3.2012 di Roma Capitale.
Secondo il TAR, sinteticamente:
- le norme del T.U.E. invocate dal Comune classificano quali “nuove costruzioni” i manufatti leggeri, anche prefabbricati, purché siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi o magazzini, vale a dire, purché siano dotati di una propria autonomia funzionale, come del resto ribadito dalla circolare interpretativa dello stesso Comune n. 19137 del 9.3.2012;
- la struttura in esame, al pari dei gazebo, dei pergolati e delle tettoie “leggere” non tamponate lateralmente su almeno tre lati, si caratterizza invece per il suo carattere pertinenziale e meramente accessorio rispetto allo stabile cui afferisce;
- la struttura in esame, al pari delle altre sopraindicate, non configura quindi né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né l’alterazione del prospetto o della sagoma dell’edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, della sua facile e completa rimuovibilità;
- le medesime strutture devono quindi essere considerate quali elementi di arredo esterno, ricondotte agli interventi liberalizzati e non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 1, del T.U.E., così come chiarito anche dalla predetta circolare n. 19137 in data 9.3.2012 dello stesso Comune di Roma;
- l’intervento in esame non rientra tra quelli sottoposti dall’art. 10 T.U.E a permesso di costruire, in quanto non costituisce “intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” mediante “nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica”, ed in ragione delle sue caratteristiche costruttive e funzionali, non costituisce intervento di ristrutturazione edilizia suscettibile di portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportante aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici”, ovvero “mutamenti della destinazione d'uso;
- neppure l’intervento sembra richiedere la DIA comunque presentata dalla ricorrente;
- la ricorrente ha altresì rispettato il successivo comma 3 dell’art. 6, allegando alla comunicazione di inizio dei lavori, in luogo delle “autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore”, il parere favorevole previamente chiesto alla competente Soprintendenza.
Il Comune appellante contestava la sentenza del TAR, eccependone l’erroneità.
Con l’appello in esame chiedeva la reiezione del ricorso di primo grado.
L’appello del Comune di Roma è stato respinto dal Consiglio di Stato, in quanto infondato. “Il Collegio ritiene che, correttamente, il TAR abbia affermato che le norme del T.U.E. invocate dal Comune classificano quali “nuove costruzioni” i manufatti leggeri, anche prefabbricati, purché siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi o magazzini, vale a dire, purché siano dotati di una propria autonomia funzionale, come del resto ribadito dalla circolare interpretativa dello stesso Comune n. 19137 del 9.3.2012 e che la struttura in esame, al pari dei gazebo, dei pergolati e delle tettoie “leggere” non tamponate lateralmente su almeno tre lati, si caratterizza invece per il suo carattere pertinenziale e meramente accessorio rispetto allo stabile cui afferisce, in quanto non muta il preesistente utilizzo esterno dei luoghi (il cortile era già allestito con tavoli e sedie per gli avventori), ma, al contrario, si limita a valorizzarne la fruizione al servizio dello stabile, ponendo un riparo temporaneo dal sole, dalla pioggia, dal vento e dall’umidità che rende più gradevole per un maggior periodo di tempo la permanenza all’esterno, senza peraltro creare un ambiente in alcun modo assimilabile a quello interno, a causa della mancanza della necessaria stabilità, di una idonea coibentazione termica e di un adeguato isolamento dalla pioggia, dall’umidità e dai connessi fenomeni di condensazione”.
In allegato la sentenza del Consiglio di Stato

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