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L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha recentemente formulato alcuni rilievi riguardo alle possibili distorsioni della concorrenza derivanti dalla modifica all’art. 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152/2006 (Testo Unico Ambiente, di seguito T.U.A.), ad opera della legge 28 luglio 2016, n. 154, che ha ampliato il novero dei residui vegetali esclusi dal regime dei rifiuti.
La segnalazione dell'Antitrust è stata pubblicata sul Bollettino Agcm n. 21 del 4 giugno 2018 (CLICCA QUI).
L’intervento trae origine da una segnalazione del Consorzio Italiano Compostatori che lamenta l’iniqua differenziazione prevista, in un disciplinare di gara per l’affidamento dei servizi di cura del verde pubblico di un Comune, per il conferimento degli scarti vegetali agli impianti di compostaggio rispetto al conferimento degli stessi scarti negli impianti a biomasse o all’utilizzo diretto in agricoltura.
Nella segnalazione ai presidenti di Camera, Senato e all’ANCI l'Antitrust ha auspicato l’opportunità di abrogare l’attuale lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del decreto legislativo n. 152/2006, come modificata ad opera della legge 28 luglio 2016, n. 154, allineandone i contenuti a quanto previsto dalla pertinente normativa comunitaria, e in particolare dalla direttiva 2008/98/CE, al fine di eliminare potenziali effetti distorsivi nei mercati del trattamento degli scarti vegetali (LEGGI TUTTO).
LA POSIZIONE DI FIPER. “Esprimiamo un grande stupore circa la posizione assunta dall’Antitrust, che ricordiamo, ha come missione istituzionale, la priorità di favorire la concorrenza evitando posizioni dominanti di mercato o di monopolio”, commenta Walter Righini presidente di FIPER.
“Sino all’entrata in vigore della modifica dell’art.185, il verde pubblico e privato”, osserva FIPER, “veniva trattato nella gestione rifiuti, rappresentando per l’amministrazione pubblica un costo di smaltimento dell’ordine di 6-8 euro a quintale. Con la modifica apportata dalla legge n. 154/16, i Comuni non sono più tenuti a trattare tali residui come rifiuti e ne possono sfruttare il valore economico, offrendoli sul mercato. Nel caso di riutilizzo come biomassa combustibile, il Comune può ricavare dai 0,5 ai 4 Euro a quintale derivanti dalla vendita. A titolo di esempio, gli impianti di teleriscaldamento acquistano dai Comuni i residui legnosi versando un corrispettivo, mentre, al contrario i compostatori ricevono dai Comuni un corrispettivo per il ritiro e la raccolta di tali scarti.
Ora un Comune è libero di utilizzare direttamente il residuo legnoso e se intende venderlo, indirà una gara in cui si aggiudicherà il bene, l’azienda che propone l’offerta più alta, indipendentemente dall’impiego finale, come avviene in un mercato concorrenziale.
Paradossalmente la norma criticata dall’AGCM riequilibra il mercato e favorisce la concorrenza, attribuendo la responsabilità all’ente pubblico di decidere la modalità con cui trattare il residuo. Ciò appare, peraltro, pienamente coerente con l’insegnamento della giurisprudenza comunitaria, secondo la quale la qualifica di rifiuto discende anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine “disfarsi”. In particolare, nella sentenza Brandy della Corte EU 3 ottobre 2013, causa C-113/12, punti 61-64 si legge: “di regola, quanto alla dimostrazione di un’intenzione, solo il detentore dei prodotti può provare che la propria intenzione non è quella di disfarsi di tali prodotti, bensì di permetterne il riutilizzo in condizioni idonee a conferire loro la qualifica di sottoprodotti ai sensi della giurisprudenza della corte”. Pertanto, per un Comune il verde pubblico può rappresentare alternativamente un costo o un ricavo: le potature del verde, ad esempio, potrebbero servire al Comune per raggiungere la quota di rifiuti differenziati. Ne discende che il riutilizzo del residuo di sfalci e potature non necessariamente produce un vantaggio per l’ente pubblico, ma è logico che l’opzione tra l’uno e l’altro regime debba rimanere una scelta che la singola amministrazione opera sul libero mercato."
Conclude Righini:
Auspichiamo che il Governo promuova la concorrenza sul mercato di approvvigionamento di questi sottoprodotti di origine legnosa, lasciando al Comune la facoltà di decidere la modalità di trattamento dei medesimi, se gestirli nel novero dei rifiuti o in qualità di sottoprodotti e che l’Autorità Antitrust alla luce di quanto rappresentato possa rivedere la segnalazione sopra riportata.
Leggi anche: “Verde pubblico e privato, il parere Antitrust sui residui vegetali esclusi dal regime dei rifiuti”

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