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TU Edilizia, la legge siciliana impugnata dal governo: “Introdotta una surrettizia forma di condono”

Bocciata anche la norma che consente di realizzare senza alcun titolo abilitativo impianti ad energia rinnovabile

martedì 11 ottobre 2016 - Redazione Build News

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Il Governo nazionale, nel corso del Consiglio dei ministri di stamani, ha deciso di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la legge regionale n. 16 del 10 agosto 2016 con la quale la Regione Sicilia ha recepito il Testo Unico Edilizia (decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380).

Secondo il Governo questa legge regionale presenta dei profili di illegittimità costituzionale in relazione all’articolo 3, comma 2, lettera f), all’articolo 11, comma 4 , all’articolo 14 e all’articolo 16.

INTRODOTTA UNA SURRETTIZIA FORMA DI CONDONO. Di particolare rilievo le contestazioni mosse all'articolo 14 che recepisce nell’ordinamento siciliano l’articolo 36 del testo unico dell’edilizia, in materia di “accertamento di conformità”. Tale disposizione prevede, al comma 1, che “..il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”. Al comma 3 prevede che “In presenza della documentazione e dei pareri previsti, sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile si pronuncia con adeguata motivazione, entro novanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende assentita”.

In proposito, l’articolo 36 del dPR n. 380/2001 richiede, ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, la doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente intesa come conformità dell’intervento sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda.

“La norma regionale in esame – evidenzia il Governo - sembra invece introdurre una surrettizia forma di condono, andando così ad invadere la competenza legislativa statale. Infatti è evidente che la norma regionale rende, di fatto, applicabile l’istituto dell’accertamento di conformità, previsto dal citato articolo 36 del TUE, anche ad interventi che, invece, eseguiti fino alla data di entrata in vigore della medesima L.R., avrebbero dovuto essere realizzati in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia previgente. E ciò con la possibilità, secondo la predetta disciplina regionale, di ottenere il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, nel presupposto che gli interventi “risultano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”, ossia, nel caso di specie, attraverso una conformità alle nuove disposizioni della LR in commento conseguita ex post.

Giova ricordare che la rigorosa regola statale del rilascio del titolo in sanatoria di cui all’ art. 36 del TUE è volta a sanare violazioni solo “formali”. La “doppia conformità” è riconosciuta a livello giurisprudenziale come principio “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della «disciplina urbanistica ed edilizia» durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (cfr. C. Cost. n. 101/2013; Cons. Stato, IV, n. 32/2013, ove si precisa, tra l’altro che la disciplina urbanistica non ha effetto retroattivo; Cons. Stato, V, n.3220/2013; TAR Umbria n. 590/2014), La “doppia conformità”, è prevista sia per gli interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di DIA alternativa o in difformità da essa (art. 36 del dPR n. 380/2001), sia per quelli eseguiti in assenza della o in difformità dalla SCIA (art. 37, co. 4 del dPR n. 380/2001).

In particolare, nella citata sentenza n. 101/2013, la Consulta ha precisato che “Il rigore insito nel principio in questione trova conferma anche nell’interpretazione della giurisprudenza amministrativa, la quale afferma che, ai fini della concedibilità del permesso di costruire in sanatoria, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario che le opere realizzate siano assentibili alla stregua non solo della disciplina urbanistica vigente al momento della domanda di sanatoria, ma anche di quella in vigore all’epoca di esecuzione degli abusi (pronunce del Consiglio di Stato, sezione IV, 21 dicembre 2012, n. 6657; sezione IV, 2 novembre 2009, n. 6784; sezione V, 29 maggio 2006, n. 3267; sezione IV, 26 aprile 2006, n. 2306). In tal senso, la stessa giurisprudenza afferma che la sanatoria in questione – in ciò distinguendosi da un vero e proprio condono – è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi «formali», ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, «anche di natura preventiva e deterrente», finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture «sostanzialiste» della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità (citata pronuncia del Consiglio di Stato, sezione IV, 21 dicembre 2012, n. 6657).”

Anche alla stregua delle richiamate stringenti indicazioni giurisprudenziali, la disposizione regionale in commento risulta illegittimamente adottata, avendo l’effetto di legittimare ex post, mediante rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ex art. 14 della LR in esame (che recepisce con modifiche l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), interventi cui la stessa LR n. 16/2016 non avrebbe potuto essere applicata.

A ciò si aggiunga che la portata del disposto del comma 1 dell’articolo 14 in commento è tale da consentire, in ipotesi, la legittimazione di possibili futuri interventi abusivi attraverso eventuali sopravvenute modifiche favorevoli della normativa urbanistica ed edilizia. Al riguardo, nella sentenza n. 1324/2014, Sez. V, il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che “risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico.

Tale ragionevolezza risulta da due fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge:

a) evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile);

b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico.”.

In conclusione le disposizioni regionali in questione, introducendo fattispecie di condono in relazione ad interventi eventualmente abusivi realizzati prima dell’entrata in vigore della LR n. 16 del 2016 e una sorta di condono “a regime” per interventi in ipotesi abusivi effettuati dopo l’entrata in vigore della stessa, che dovessero risultare sanabili a seguito di ulteriori modifiche alla disciplina urbanistica ed edilizia, travalica la competenza legislativa esclusiva nella materia “urbanistica” attribuita alla Regione Siciliana dallo Statuto di autonomia (cfr. art. 14, comma 1, (lettera f) Testo coordinato dello Statuto speciale della Regione Siciliana approvato con R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (pubblicato nella G.U. del Regno d'Italia n. 133-3 del 10 giugno 1946), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (pubblicata nella GURI n. 58 del 9 marzo 1948), modificato dalle leggi costituzionali 23 febbraio 1972, n. 1 (pubblicata nella GURI n. 63 del 7 marzo 1972), 12 aprile 1989, n. 3 (pubblicata nella GURI n. 87 del 14 aprile 1989) e 31 gennaio 2001, n. 2 (pubblicata nella GURI n. 26 dell'1 febbraio 2001)”), invadendo la competenza esclusiva statale, atteso che, secondo i consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, nella disciplina del condono edilizio converge la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di sanzionabilità e quindi ordinamento penale di cui all’articolo117,comma 2, lettera l) della Costituzione.

Non da ultimo, quale profilo di ulteriore contrasto con la disciplina statale, si rileva che, mentre il comma 3, dell’articolo 36 del dPR n. 380 del 2001, stabilisce che “3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”, ai sensi del comma 3, del richiamato articolo 14 della LR 16 del 2016, “3. In presenza della documentazione e dei pareri previsti, sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro novanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende assentita.”.

La norma regionale richiamata, dunque, introduce un meccanismo di silenzio assenso che discende dal mero decorso del termine di sessanta giorni, laddove l’articolo 36 del citato testo unico stabilisce la contraria regola che, in caso di richiesta di permesso in sanatoria, laddove non intervenga provvedimento motivato entro sessanta giorni, la richiesta si intende rifiutata. Essa incide pertanto su una causa estintiva (art. 45 TU) delle contravvenzioni contemplate dall’articolo 44 collegata di regola all’ottenimento di un provvedimento espresso circa la conformità delle opere realizzate in mancanza del permesso a costruire. Al contrario, in questo caso il giudizio di conformità può essere pretermesso, e l’effetto estintivo è ricollegato al mero silenzio dell’amministrazione. La disposizione incide su una materia riservata con riguardo agli effetti sulla causa estintiva (Art. 117, comma 2, lett. l, Cost) e pertanto eccede dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione siciliana dallo Statuto Speciale di autonomia (R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale n. 2/1948). La Corte Costituzionale con sentenza n.19 del 2014 ha ribadito il principio, applicabile anche alle Regioni ad autonomia speciale, secondo il quale “nessuna fonte regionale può introdurre nuove cause di esenzione della responsabilità penale, civile o amministrativa, trattandosi di materia non disciplinata dagli statuti di autonomia speciale e riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. l), Costituzione".

La disposizione censurata contrasta altresì con l’articolo 3 della Costituzione, riguardo alle modalità di accertamento della natura esclusivamente formale dell’abuso realizzato, che solo consentirebbe il rilascio postumo del permesso.”

IMPIANTI A ENERGIA RINNOVABILE. Tra le altre norme impugnate dal Governo c'è l'articolo 3, comma 2 lettera f) che consente di realizzare senza alcun titolo abilitativo tutti gli impianti ad energia rinnovabile «di cui agli articoli 5 e 6 del d.lgs. 28/2011», fatto salvo le prescrizioni indicate nel citato comma 1 in cui, però, non vi è alcun riferimento espresso alla disciplina prevista dal d.lgs. 152/2006, concernente la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Tale norma regionale “esula dalle competenze legislative attribuite alla Regione dallo Statuto speciale e contrasta con la normativa statale in materia di tutela dell’ambiente, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.”

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