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Con l'ordinanza 6 giugno 2016 n. 11543, la Corte di cassazione interviene sulla natura della recente norma - articolo 5, comma 3, del D.Lgs. n. 147/2015, c.d. “Decreto Internalizzazione” - tesa ad impedire che la rettifica del prezzo di cessione di immobili ed aziende, effettuata dall’Agenzia delle Entrate ai fini dell’accertamento dei tributi correlati, possa essere fondata esclusivamente sulle valutazioni di mercato.
Nella predetta ordinanza la Corte di Cassazione sottolinea che il principio di presunzione di corrispondenza tra prezzo incassato e valore di mercato accertato ai fini dell’imposta di registro, ancora adesso utilizzato come criterio negli accertamenti condotti dall’Agenzia delle Entrate nelle ipotesi di cessioni di immobili e aziende per rettificare il prezzo di cessione, deve considerarsi ormai superato dal citato articolo 5, comma 3, del D.Lgs. n. 147/2015.
Non solo: tale norma, qualificandosi quale norma d’interpretazione autentica, ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della L. n. 212/2000, è applicabile retroattivamente.
La Corte di Cassazione precisa, dunque, che la presunzione basata su accertamenti effettuati nell’ambito di imposte diverse non possa essere più legittimata “solo sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, neppure per controversie già iniziate sotto il vigore della disciplina previgente.”
L’autorevole parere della Corte di Cassazione – commenta la Cna - dà valore a quanto sostenuto da sempre dalla Cna. In più occasioni, infatti, la Cna sull’onda di numerosi pronunciamenti giurisprudenziali favorevoli, ha ribadito la necessità di un chiaro intervento normativo volto a limitare l’utilizzo di elementi di presunzione semplice in un accertamento induttivo ai fini delle imposte sui redditi.

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