Sentenze

Ristrutturazione edilizia: quando va applicato l’art. 33 e non l’art. 31 del D.lgs. n. 380/2001

Il Consiglio di Stato sulla legittimità dell'ordine di demolizione

mercoledì 25 maggio 2016 - Redazione Build News

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Con la sentenza n. 1940/2016 depositata il 13 maggio, il Consiglio di Stato ricorda che l’art.10, comma 1, lettera c), del d.p.r. n. 380 del 2001 qualifica come opere di ristrutturazione edilizia, tra l’altro, «gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti».

L’art. 31 del suddetto decreto prevede che, in caso di «interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali» la sanzione è quella della demolizione.

Il successivo art. 33, primo comma, dispone che «gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l’ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso». Il secondo comma dello stesso art. 33 dispone che: «qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori», nel rispetto dei criteri previsti dalla norma stessa.

IL FATTO. Nel caso di specie, è stata presentata denuncia di inizio attività per lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria. A seguito di accertamenti, il Comune ha verificato che la proprietaria dell'immobile aveva realizzato i seguenti lavori:

a) il rifacimento del tetto di copertura ad unica falda con incremento di circa 25 cm. della quota di estradosso;

b) la demolizione delle volte costituenti l’impalcato intermedio tra piano sottotetto e piano primo e la sostituzione delle stesse con solaio piano in putrelle e tavelloni, messo in opera a una quota inferiore rispetto a quella delle volte in modo da incrementare l’altezza del piano sottotetto, come dimostra l’altezza di mt. 2.30 del nuovo solaio all’intradosso;

c) la realizzazione al piano sottotetto di tramezzatura per la definizione di due stanze, di un piccolo disimpegno e di un w.c., con creazione di una nuova finestra delle dimensioni di mt. 0,50 x h. 0.40 in corrispondenza di tale ultimo locale e l’ampliamento dell’apertura già esistente sul prospetto principale (nord ovest), attualmente delle dimensioni di mt. 0.70 x h 0.70;

d) la creazione di una cucina e di un’adiacente anticamera al primo piano, in luogo del locale w.c. indicato nella D.I.A., e l’ampliamento dei due balconi esistenti al predetto piano, attualmente delle dimensioni di mt. 0.75 x 2.90 e di mt. 0.90 x 2.60 a fronte di mt. 0.35 x 1.90 e mt. 0.60 x 1.70;

e) la realizzazione di due scale interne consecutive in conglomerato cementizio armato per il collegamento funzionale dei tre livelli (piano terra, piano primo e piano sottotetto);

f) la realizzazione al piano terra nello spazio sottoscala di un w.c. delle dimensioni di mt. 1.25 x 3.30 con un’altezza variabile da mt. 1.40 a mt. 2.30 circa.

L'ATTIVITÀ VA QUALIFICATA COME RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA. Secondo il Consiglio di Stato “si è in presenza di una attività che deve essere qualificata di «ristrutturazione edilizia», con la conseguenza che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, deve applicarsi l’art. 33 e non l’art. 31 del d.lgs. n. 380 del 2001”.

Tale diversa qualificazione “non comporta, però, l’illegittimità dell’ordine di demolizione. Essa, infatti, incide, eventualmente sulla fase successiva, che qui non viene in rilievo, relativa all’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine, nonché alla verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive.

In definitiva, la corretta qualificazione dell’intervento lascia fermo il contenuto precettivo dell’ordine di demolizione, ma fa venire meno soltanto la parte del provvedimento in cui si rileva che, in caso di inottemperanza, il bene verrà acquisito al patrimonio pubblico”.

AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA IN SANATORIA. Palazzo Spada inoltre rammenta che “l’art. 146, quarto comma, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) ha disposto che «fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi».

Il richiamato articolo 167 ha stabilito che tale divieto non opera nei casi in cui: a) i lavori eseguiti non hanno determinato la «creazione di superficie utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati»; b) sono stati impiegati «materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica»; c) gli interventi eseguiti sono qualificabili quali «interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria».

La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel ritenere che la «mera sistemazione interna degli spazi» non determinata aumento di superficie o volumi (Cons. Stato, sez. VI, 31 luglio 2014, n. 4052)”.

Nel caso in esame, conclude il Consiglio di Stato, “risulta che non vi è stata una rilevante modificazione della parte esterna del manufatto, con la conseguenza che lo stesso è suscettibile di sanatoria anche sul piano paesaggistico”.

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