Sentenze

Secondo condono edilizio, il limite volumetrico di 750 mc si applica anche al non residenziale

La Cassazione non condivide il parere contenuto nella circolare n. 2241/1995 del Ministero dei Lavori pubblici

mercoledì 9 settembre 2015 - Redazione Build News

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“Ai fini del perfezionamento del condono edilizio di cui alla legge 724/1994, il limite volumetrico di 750 metri cubi previsto dall'art. 39, comma 1 è applicabile a tutte le opere, senza alcuna distinzione tra residenziali e non residenziali”.

È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 31955/2015 depositata il 22 luglio.  

Secondo la Cassazione “sarebbe del tutto irragionevole, infatti, ritenere indiscriminatamente condonabili gli immobili a destinazione non residenziale, spesso di rilevante impatto sul territorio, sotto diversi profili, ponendo invece limiti rigorosi in termini di volumetria per quelli ad uso abitativo e non si spiegherebbe, inoltre, per quale motivo una simile distinzione non sia stata operata dal legislatore direttamente nel primo comma dell'art. 39, prevedendo, invece, tale distinguo attraverso un involuto riferimento nelle disposizioni riguardanti il calcolo dell'oblazione”.

Per la suprema Corte “è evidente che l'art. 39, comma 1 pone il limite volumetrico per tutte le opere abusive, indipendentemente dalla loro destinazione, mentre il comma 16 del medesimo articolo, il quale a sua volta richiama l'art. 34, comma 7 legge 47/1985, disciplina esclusivamente il calcolo dell'oblazione e la deroga alla volumetria è giustificata dai motivi indicati dalla giurisprudenza amministrativa”.

SECONDO CONDONO EDILIZIO (LEGGE N. 724/1994). La Legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante «Misure di razionalizzazione delle finanza pubblica», nell'introdurre il secondo condono edilizio, prevedendo l'applicabilità delle disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 come ulteriormente modificate dalla stessa legge, alle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, ha stabilito anche (art. 39, comma 1), quale ulteriore condizione rispetto al limite temporale, che la sanatoria poteva riguardare quegli immobili che non avessero comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, specificando ulteriormente che tali disposizioni trovavano applicazione anche per le opere abusive realizzate entro il termine predetto relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria.

La Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 2241/UL del 17 giugno 1995 ha sostenuto che il limite volumetrico per l'ammissibilità della sanatoria si applicherebbe alle costruzioni abusive a carattere residenziale e non a quelle destinate ad altri usi. Ad ulteriore sostegno di tale interpretazione, nel ricorso è stata richiamata la sentenza n. 9598 del 9 febbraio 2012 della terza sezione della Cassazione penale, ove si è affermato, riproponendo la medesime argomentazioni riportate nella circolare e con specifico richiamo alla legge 724/1994, che dal combinato disposto dell'art. 39, comma 16 della legge medesima e dell'art. 34, comma 7 legge 47/1985 il limite volumetrico dei 750 mc. si applica solo alle costruzioni residenziali.

CASSAZIONE: PARERE NON CONDIVISIBILE. Tuttavia, nella sentenza depositata il 22 luglio scorso la Cassazione ritiene non condivisibile la suddetta conclusione. Per quanto riguarda quanto affermato nella predetta circolare n. 2241/UL del 17 giugno 1995, la suprema Corte osserva che “la circolare interpretativa è atto interno alla P.A., che si risolve in un mero ausilio ermeneutico e non esplica alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, poiché non può comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo”.

Per ciò che concerne, invece, il richiamo alla precedente pronuncia della Cassazione, il Collegio precisa che “le conclusioni cui la stessa è pervenuta non possono essere qui recepite, in quanto fondate su una lettura della legge 7241994 che, sebbene condivisa, in alcuni casi, anche dalla giurisprudenza amministrativa, si fonda su un orientamento che gli stessi giudici amministrativi hanno ormai abbandonato e dal quale si è anche motivatamente discostata, con argomentazioni pienamente condivisibili, anche la giurisprudenza civile di questa Corte”.

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